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Indipendent Monday: Always Sometimes Monsters [Recensione Indie Game]

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Insiders di tutta la penisola italica, indie gamer, steam addicted, benvenuti ad un nuovo appuntamento con Indipendent Monday, la rinomata rubrica videoludica votata a portarvi qualsiasi cosa indie passi sotto l’occhio critico del qui scrivente Kal. Questa settimana presentiamo un gioco sviluppato dagli errabondi Vagabond Dog, Always Sometimes Monsters. Pronti?

Capita di sentirsi delle m…. dei mostri!

Always Sometimes Monsters nasce dall’idea di raccontare una storia, di portare il giocatore fra le trame della vita e quella vera, dove ogni decisione influisce sul nostro futuro come su quello di molte altre persone, per quanto incredibile, mistico e assurdo possa sembrare. Una coppia, un rapporto d’amore, un libro, un contratto e un anno dopo a fronteggiare le conseguenze che hanno portato alla fine di tutto. La rincorsa dell’amore perduto e una vita da ricostruire. No non siamo al bivio e io non sono Ruggeri, quindi niente pippe mentali, state calmi! Il titolo sviluppato da Vagabond Dog segue le orme del fortunato To The Moon, del quale qui su ITG si è parlato parecchio e con eccitazione, per ovvi meriti. Struttura narrativa, impostazione di gameplay e aspetto estetico ricalcano quell’archetipo, ma seguire le orme di un maestro è facile tanto quanto infilarsi fra le grazie della bella della classe. Lo studio indie osa anche di più e pretende di impostare la storia con l’ormai gettonato sistema di scelte ad impattare la trama e modificare la rotazione terrestre. Il risultato?

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To The Moon in vespa

ASM – abbreviamo per ovvi motivi – oltre a vincere il primato per il titolo più lungo del parco indie, ambisce a rivaleggiare con una delle operazioni di anti-mercato meglio riuscite degl’ultimi anni. Farlo non è impossibile, ma serve un’insieme di fattori che esulano l’aspetto ludico e si concentrano più su quello cinematografico o, meglio, letterario. To The Moon è un gioco letterario perché è incentrato sulla trama, i dialoghi e sfrutta minimamente la compagine del mondo ludico, facendone camera e regia per una storia perfetta forse per essere raccontata con un’esperienza immersiva. Replicare tale successo è difficile e serve una storia solida, delle atmosfere azzeccate ed un sistema di gameplay che non confonda il giocatore con premesse troppo ingombranti.

ASM ci mette in scomodi panni di personaggi impalpabili, resi bidimensionali non dalla sua estetica, ma dalla voglia di essere riempiti dal sistema di scelte che, anche in questo caso, poco incide sugli eventi. Tutto calcolato è vero, ma è un tremendo errore. Quando devi entrare in empatia con qualcosa, non puoi lasciare il profilo dei personaggi al caso o peggio ancora ad un espediente che, nonostante anni di pratica, non è ancora realmente incisivo in questo campo. L’anarchia dell’identità è pericolosa e mina quindi il carattere del gioco. La palla inizia a scivolare per un pericoloso piano inclinato e con i personaggi anche la trama viene a precipitare giù per la pendenza. Il succedersi degli eventi è macchinoso, lento, prevedibile a volte asettico. I dialoghi, fondamentali, sono spesso generici proprio per il piattume dato ai protagonisti che, con una decisione discutibile, possono cambiare di partita in partita: potremmo avere una coppia di ragazze, come due ragazzi o un canonico lui e lei. Insomma, il titolo dimostra per lo meno di essere moderno, ma certamente non basta a salvare la spersonalizzazione che si respira da ogni pixel.

L’esplorazione dell’animo umano e dell’ipocrisia dietro alcuni rapporti e delle strutture sociali è abbozzato, quasi elementare soprattutto se, parlando di una struttura letteraria, ci si avvicina a qualche scaffale o, parlando di cinema, si guarda qualche film.

Tecnicamente sufficiente, con una colonna sonora varia, ma non certo memorabile, ASM dimostra di avere un buco d’estro proprio nei punti cardine dell’avventura, ma si accontenta del compitino e mostra qualche errore da principiante. Perché non c’è una visuale a schermo intero?! Scegliere una grafica pixel vecchio stile significa fare TUTTO vecchio stile e non approdare verso qualche cura maggiore, ma lasciarsi alla sciatteria?! Perché non esistono delle opzioni e si rischia di diventare sordi quando è tardi e vuoi giocare con le cuffie?! Perché ricominciare da capo, significa perdere il salvataggio automatico in favore di quello nuovo?!

Always Sometimes Monsters

Always Sometimes Monsters non esce da questa recensione con il capo cosparso di cenere, ma un po’ ammaccato. Il titolo fa parte di un filone di cloni che vorrebbe, ma non può per una semplice mancanza di talento nello sviluppo e di freschezza. Vagabond Dog produce con uno sforzo minimo di mezzi e con altrettanta pigrizia lo fa nel verso creativo, ma porta a casa un risultato sufficiente, che potrebbe interessare qualcuno ma che non arriverà certo a smuovere il web. Investire 9,99€ per questo titolo? Solo se convinti di questa tipologia d’esperienza!


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